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sabato 19 marzo 2011

Ma quanto paghiamo in realtà in bolletta per le rinnovabili? Poco.


Sentiamo ormai da tempo dire che le rinnovabili sono incentivate mediante "gabelle" in bolletta elettrica.
In realtà, con il solito italico ingegno, la gabella in questione non va solo alle rinnovabili, ma va a "rinnovabili ed assimilate". Ma cosa sono queste "assimilate"?
Partiamo dall'inizio, spiegando cos'è il CIP 6. Il CIP 6 non è il dolce cinguettìo di un uccellino, bensì una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n°109 del 12 maggio 1992) a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e "assimilate".
Grazie a questa delibera, chi produce energia elettrica da fonte rinnovabile può rivenderla al Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) a prezzo superiore a quello di mercato.
Fin qui, tutto bene. Se lo Stato vuol premiare chi produce pulito può farlo benissimo.
A questo punto arriva il famigerato asino che, poverino, come al solito, casca.
In Italia, infatti, le aziende esercenti gli inceneritori di rifiuti rivendono l'energia elettrica prodotta a prezzo maggiorato in base all'applicazione del CIP 6 poichè il processo di produzione viene considerato per Legge derivato da fonti rinnovabili.
È da notare che l'Italia è l'unico Paese nel quale viene concesso l'incentivo anche alla produzione di energia elettrica tramite procedimenti quale ad esempio il carbone o la combustione dei rifiuti urbani negli inceneritori.
Ciò, ad avviso di varie parti, costituirebbe una violazione delle direttive europee in materia che considera assimilata a quella prodotta da fonti rinnovabili esclusivamente l'energia ricavata dalla parte organica dei rifiuti (ovvero gli scarti vegetali e quindi anche quelli agricoli).
Va detto, tuttavia, che il testo della normativa CIP 6 inserisce "la trasformazione dei rifiuti organici e inorganici o di prodotti vegetali" tra le "fonti rinnovabili" di energia e non tra le "fonti assimilate", come si legge chiaramente nel primo comma dell'articolo unico del provvedimento.
Riguardo a ciò , L'UE si è anche espressa nel 2003 in questo modo:
"La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/ CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (1), la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile.
La direttiva intende principalmente promuovere un maggiore uso di fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità ma non istituisce un regime di sostegno finanziario al riguardo. Entro il mese di ottobre 2005 la Commissione presenterà una relazione sui vari regimi di sostegno vigenti negli Stati membri e, se del caso, correderà tale relazione di una proposta di quadro comunitario per l'elaborazione di regimi di incentivazione per l'energia prodotta da fonti rinnovabili, come ad esempio i «certificati verdi». Per quanto riguarda l'ammissibilità agli incentivi previsti per le fonti di energia rinnovabili, le disposizioni della direttiva 2001/77/CE si limitano a stabilire che il regime di sostegno deve esplicarsi «nel rispetto degli articoli 87 e 88 del trattato». La normativa nazionale che annovera i rifiuti non biodegradabili tra le fonti di energia rinnovabili deve pertanto essere conforme alle norme della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente.
Risulta chiaro che le disposizioni specifiche della disciplina comunitaria relative agli aiuti destinati alle fonti energetiche rinnovabili (punti E.1.3 e E.3.3) sono applicabili soltanto alle fonti rinnovabili che rispondono alla definizione dell'articolo 2 della direttiva 2001/77/CE (cfr. punto 6 e nota a piè di pagina 7 della disciplina comunitaria). Le suddette disposizioni non si applicano pertanto agli aiuti per la produzione di energia da rifiuti non biodegradabili. Tali aiuti possono tuttavia essere conformi alle disposizioni relative agli aiuti al funzionamento concessi per la gestione dei rifiuti (punto E.3.1 della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente).
Gli obiettivi della direttiva 2001/77/CE vanno considerati congiuntamente ai principi stabiliti dalla strategia comunitaria in materia di gestione dei rifiuti. Le disposizioni nazionali che prevedono aiuti non differenziati (riguardanti quindi anche la frazione non biodegradabile) per l'incenerimento dei rifiuti devono dimostrare che sono compatibili con il principio della prevenzione della produzione di rifiuti e che non costituiscono un ostacolo al reimpiego e al riciclaggio dei rifiuti stessi.
La Commissione esaminerà attentamente le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative messe in applicazione dagli Stati membri per conformarsi alla direttiva 2001/77/CE".
Con questo cosa voglio dire, direbbe il comico Paolo Cevoli nei panni dell'Assessore alle "varie ed eventuali" Palmiro Cangini? Semplice, se parte di questa gabella che paghiamo in bolletta non va alle rinnovabili vere e proprie, significa in pratica che queste non sono poi così care per le bollette. La parte destinata alle rinnovabili è meno della metà. Per l'esattezza il 46,5%. Ed il restante 53,5%, quindi?
Il 4,9% viene ancora destinato per gestire il vecchio nucleare improduttivo, il 20,7% per il CIP 6 e il 6,1% per le ferrovie dello Stato. Ferrovie dello Stato? Non sapevo che le FS fossero rinnovabili. Se qualcuno ha visto tracce di rinnovamento (a parte le varie frecce rosse, d'argento, bianche e multicolori) nelle FS, per favore me lo scriva.
La restante parte, con un cavillo giuridico di italico ingegno è stata destinata alle fonti fossili. Stiamo parlando del 21,8% che incentiva petrolio ed altro.
Sapete quanto abbiamo pagato per queste vecchie fonti e per il vecchio improduttivo nucleare dal 1992 (anno di partenza del CIP 6) ad oggi? Circa 50 miliardi di Euro.
Oltre ad essere incentivate meno della metà di quello che tutti crediamo, le rinnovabili portano enormi benefici allo Stato. In che modo? Con tasse sugli utili ricavati dalle imprese che gestiscono impianti fotovoltaici che permettono allo Stato di riprendersi parte dell'incentivo erogato. In soldoni, lo Stato nel 2010 ha erogato incentivi alle rinnovabili per 2,7 miliardi di Euro a fronte dei 5,8 che ha incassato con la famosa "gabella" (il 46,5% appunto) e nel 2009, secondo uno studio del Politecnico di Milano ha incassato 300 milioni di Euro. Inoltre, dato che ogni Gigawatt di fotovoltaico installato contribuisce ad evitare emissioni di 740.000 tonnellate di CO2 nell'atmosfera, ci eviterebbe di pagare le multe all'Unione Europea che stiamo pagando per inadempienza al protocollo di Kyoto. Un vero e proprio ulteriore vantaggio economico indiretto per lo Stato.
Le rinnovabili, inoltre, secondo uno studio di APER e di Pöyry Management Consultingpotrebbero incidere positivamente sulla bolletta degli italiani nel 2013 facendo risparmiare 660 milioni di Euro, dato che, essendo diffuse su tutto il territorio italiano, consentirebbero risparmi di costi di trasporto dell'energia per minore dispersione lungo la linea verso zone, come le isole, lontane dai luoghi di produzione.
In ultima istanza bisogna considerare un altro importantissimo aspetto, quello che riguarda il sovrapprezzo che la rete elettrica paga nelle ore di punta della mattina e del pomeriggio e nei momenti di picco dei consumi, ad esempio durante le calde giornate estive. E' proprio in questi periodi che i produttori ottengono i prezzi maggiori, ed è proprio in questi momenti che il fotovoltaico produce di più.
La presenza di una forte produzione fotovoltaica concentrata nelle ore più calde del giorno, quando la domanda è al massimo, alzerebbe il livello di domanda che fa scattare le tariffe più alte e più convenienti per i grandi produttori da fonti non rinnovabili.
Non sarà mica proprio per questo che si è deciso di tagliare gli incentivi al fotovoltaico?

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