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sabato 19 marzo 2011

Ma quanto paghiamo in realtà in bolletta per le rinnovabili? Poco.


Sentiamo ormai da tempo dire che le rinnovabili sono incentivate mediante "gabelle" in bolletta elettrica.
In realtà, con il solito italico ingegno, la gabella in questione non va solo alle rinnovabili, ma va a "rinnovabili ed assimilate". Ma cosa sono queste "assimilate"?
Partiamo dall'inizio, spiegando cos'è il CIP 6. Il CIP 6 non è il dolce cinguettìo di un uccellino, bensì una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n°109 del 12 maggio 1992) a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e "assimilate".
Grazie a questa delibera, chi produce energia elettrica da fonte rinnovabile può rivenderla al Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) a prezzo superiore a quello di mercato.
Fin qui, tutto bene. Se lo Stato vuol premiare chi produce pulito può farlo benissimo.
A questo punto arriva il famigerato asino che, poverino, come al solito, casca.
In Italia, infatti, le aziende esercenti gli inceneritori di rifiuti rivendono l'energia elettrica prodotta a prezzo maggiorato in base all'applicazione del CIP 6 poichè il processo di produzione viene considerato per Legge derivato da fonti rinnovabili.
È da notare che l'Italia è l'unico Paese nel quale viene concesso l'incentivo anche alla produzione di energia elettrica tramite procedimenti quale ad esempio il carbone o la combustione dei rifiuti urbani negli inceneritori.
Ciò, ad avviso di varie parti, costituirebbe una violazione delle direttive europee in materia che considera assimilata a quella prodotta da fonti rinnovabili esclusivamente l'energia ricavata dalla parte organica dei rifiuti (ovvero gli scarti vegetali e quindi anche quelli agricoli).
Va detto, tuttavia, che il testo della normativa CIP 6 inserisce "la trasformazione dei rifiuti organici e inorganici o di prodotti vegetali" tra le "fonti rinnovabili" di energia e non tra le "fonti assimilate", come si legge chiaramente nel primo comma dell'articolo unico del provvedimento.
Riguardo a ciò , L'UE si è anche espressa nel 2003 in questo modo:
"La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/ CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (1), la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile.
La direttiva intende principalmente promuovere un maggiore uso di fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità ma non istituisce un regime di sostegno finanziario al riguardo. Entro il mese di ottobre 2005 la Commissione presenterà una relazione sui vari regimi di sostegno vigenti negli Stati membri e, se del caso, correderà tale relazione di una proposta di quadro comunitario per l'elaborazione di regimi di incentivazione per l'energia prodotta da fonti rinnovabili, come ad esempio i «certificati verdi». Per quanto riguarda l'ammissibilità agli incentivi previsti per le fonti di energia rinnovabili, le disposizioni della direttiva 2001/77/CE si limitano a stabilire che il regime di sostegno deve esplicarsi «nel rispetto degli articoli 87 e 88 del trattato». La normativa nazionale che annovera i rifiuti non biodegradabili tra le fonti di energia rinnovabili deve pertanto essere conforme alle norme della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente.
Risulta chiaro che le disposizioni specifiche della disciplina comunitaria relative agli aiuti destinati alle fonti energetiche rinnovabili (punti E.1.3 e E.3.3) sono applicabili soltanto alle fonti rinnovabili che rispondono alla definizione dell'articolo 2 della direttiva 2001/77/CE (cfr. punto 6 e nota a piè di pagina 7 della disciplina comunitaria). Le suddette disposizioni non si applicano pertanto agli aiuti per la produzione di energia da rifiuti non biodegradabili. Tali aiuti possono tuttavia essere conformi alle disposizioni relative agli aiuti al funzionamento concessi per la gestione dei rifiuti (punto E.3.1 della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente).
Gli obiettivi della direttiva 2001/77/CE vanno considerati congiuntamente ai principi stabiliti dalla strategia comunitaria in materia di gestione dei rifiuti. Le disposizioni nazionali che prevedono aiuti non differenziati (riguardanti quindi anche la frazione non biodegradabile) per l'incenerimento dei rifiuti devono dimostrare che sono compatibili con il principio della prevenzione della produzione di rifiuti e che non costituiscono un ostacolo al reimpiego e al riciclaggio dei rifiuti stessi.
La Commissione esaminerà attentamente le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative messe in applicazione dagli Stati membri per conformarsi alla direttiva 2001/77/CE".
Con questo cosa voglio dire, direbbe il comico Paolo Cevoli nei panni dell'Assessore alle "varie ed eventuali" Palmiro Cangini? Semplice, se parte di questa gabella che paghiamo in bolletta non va alle rinnovabili vere e proprie, significa in pratica che queste non sono poi così care per le bollette. La parte destinata alle rinnovabili è meno della metà. Per l'esattezza il 46,5%. Ed il restante 53,5%, quindi?
Il 4,9% viene ancora destinato per gestire il vecchio nucleare improduttivo, il 20,7% per il CIP 6 e il 6,1% per le ferrovie dello Stato. Ferrovie dello Stato? Non sapevo che le FS fossero rinnovabili. Se qualcuno ha visto tracce di rinnovamento (a parte le varie frecce rosse, d'argento, bianche e multicolori) nelle FS, per favore me lo scriva.
La restante parte, con un cavillo giuridico di italico ingegno è stata destinata alle fonti fossili. Stiamo parlando del 21,8% che incentiva petrolio ed altro.
Sapete quanto abbiamo pagato per queste vecchie fonti e per il vecchio improduttivo nucleare dal 1992 (anno di partenza del CIP 6) ad oggi? Circa 50 miliardi di Euro.
Oltre ad essere incentivate meno della metà di quello che tutti crediamo, le rinnovabili portano enormi benefici allo Stato. In che modo? Con tasse sugli utili ricavati dalle imprese che gestiscono impianti fotovoltaici che permettono allo Stato di riprendersi parte dell'incentivo erogato. In soldoni, lo Stato nel 2010 ha erogato incentivi alle rinnovabili per 2,7 miliardi di Euro a fronte dei 5,8 che ha incassato con la famosa "gabella" (il 46,5% appunto) e nel 2009, secondo uno studio del Politecnico di Milano ha incassato 300 milioni di Euro. Inoltre, dato che ogni Gigawatt di fotovoltaico installato contribuisce ad evitare emissioni di 740.000 tonnellate di CO2 nell'atmosfera, ci eviterebbe di pagare le multe all'Unione Europea che stiamo pagando per inadempienza al protocollo di Kyoto. Un vero e proprio ulteriore vantaggio economico indiretto per lo Stato.
Le rinnovabili, inoltre, secondo uno studio di APER e di Pöyry Management Consultingpotrebbero incidere positivamente sulla bolletta degli italiani nel 2013 facendo risparmiare 660 milioni di Euro, dato che, essendo diffuse su tutto il territorio italiano, consentirebbero risparmi di costi di trasporto dell'energia per minore dispersione lungo la linea verso zone, come le isole, lontane dai luoghi di produzione.
In ultima istanza bisogna considerare un altro importantissimo aspetto, quello che riguarda il sovrapprezzo che la rete elettrica paga nelle ore di punta della mattina e del pomeriggio e nei momenti di picco dei consumi, ad esempio durante le calde giornate estive. E' proprio in questi periodi che i produttori ottengono i prezzi maggiori, ed è proprio in questi momenti che il fotovoltaico produce di più.
La presenza di una forte produzione fotovoltaica concentrata nelle ore più calde del giorno, quando la domanda è al massimo, alzerebbe il livello di domanda che fa scattare le tariffe più alte e più convenienti per i grandi produttori da fonti non rinnovabili.
Non sarà mica proprio per questo che si è deciso di tagliare gli incentivi al fotovoltaico?

venerdì 18 marzo 2011

Energia solare secondo il Professor Rubbia


L'amico Walter, nel suo blog "Attimi di pensiero non lineare" ha citato un articolo del Professor Rubbia a proposito dell'energia da fonte solare merita di essere letto.

giovedì 17 marzo 2011

Energia, economia, agricoltura e, soprattutto salute.


Con il tremendo terremoto in Giappone stiamo assistendo, oltre al dramma del popolo giapponese che sta reagendo con la sua consueta dignità, ad una rivoluzione in termini consapevolezza dei limiti umani. L'uomo fa di tutto, ovviamente per cercare di portare economie alle proprie produzioni. L'energia da fonte nucleare sembra essere la più economica. L'energia da fonte rinnovabile, al momento sembra essere meno economica di quella nucleare.
A questo punto occorre introdurre un nuovo concetto, è un concetto che io definisco di "adattabilità umana", ovvero quanto queste tecnologie si adattano all'uomo.
La tecnologia nucleare ben si adatta all'economia (adesso, in questa precisa fase storica) ma mal si adatta all'uomo: per quanto l'uomo possa fare per renderla sicura, Madre Natura con la sua potenza può sempre mettere in evidenza fallanze non calcolate. Il caso dei reattori giapponesi di Fukushima ne sono un caso evidente.

Le varie (e si badi bene al termine "varie") tecnologie di produzione da fonte rinnovabile sono al momento (e anche qui, si badi bene all'espressione "al momento") meno convenienti dal punto di vista economico, ma sicuramente ben più adattabili all'uomo. Non inquinano, presentano un bilancio energetico (soprattutto il fotovoltaico) attivo (il bilancio energetico è dato dalla somma algebrica delle emissioni di CO2 prodotte durante la costruzione dell'impianto stesso e quelle prodotte durante la vita dell'impianto N.D.R.), sono al momento riciclabili al 95% (fotovoltaico) e, soprattutto non presentano il gravoso problema dello stoccaggio delle scorie.
In questo momento, con il "decreto Romani" si è dato un brusco stop alla produzione da fonte fotovoltaica continuando a perseguire l'obiettivo del nucleare. A questo punto io, personalmente mi pongo alcune riflessioni.
1. Da qui a quando sarà pronta la prima centrale nucleare italiana passeranno comunque molti anni.
2. Le tecnologie per le rinnovabili stanno correndo. Stanno aumentando la loro efficienza, stanno diminuendo i loro costi.
3. Quando sarà pronta la prima centrale nucleare, le rinnovabili avranno raggiunto un alto grado di efficienza che avranno anche già potuto sperimentare sul campo producendo. Pensate a quanti impianti di produzione di energia rinnovabile si possono costruire in una quindicina d'anni (tempo medio di costruzione di una centrale nucleare).
4. Con le rinnovabili si avrà anche un nuovo tipo di produzione energetica. Una produzione diffusa su tutto il territorio che, in caso di guasto di un impianto non produrrà ripercussioni su vasta scala.
5. Di questo tipo di produzione potranno beneficiare tutti: dal privato con il suo impiantino sul tetto, all'azienda con il suo impianto più grande sempre sul tetto, agli agricoltori che in questo modo potranno sfruttare in un modo nuovo e più redditizio i loro terreni.
Essendo il mio un blog di agricoltura, vorrei spiegare quali sono le modalità che consentono ad un agricoltore di installare un impianto fotovoltaico su terreno.
1. L'impianto non deve avere una estensione superiore al 10% della superficie da lui coltivata.
2. L'impianto non deve avere una potenza installata superiore ad 1 MWp.
Entrando nella pratica, perchè un impianto fotovoltaico sia sostenibile economicamente per l'agricoltore, di sicuro, al momento mai e poi mai sarà superiore al Megawatt poiché l'agricoltore, dato il costo, non riuscirebbe, salvo pochi casi, ad ottenere i finanziamenti necessari per costruirlo. In seconda battuta, rapportando la capacità di accesso al finanziamento dell'agricoltore con gli ettari da lui coltivati, in quasi nessun caso, la superficie dell'impianto fotovoltaico supererebbe il 3%, restando quindi comunque ben lontana da quel 10% imposto dalla Legge.
A questo punto, credo sia importante una riflessione.
Se tutti hanno potenzialmente la possibilità di diventare produttori di energia (e sempre più persone l'avranno, perchè la tecnologia galoppa ed i costi scendono), se gli agricoltori possono finalmente diventare produttori di energia senza praticamente sottrarre terreno alla produzione alimentare, ma potendo così finalmente trovare reddito per le proprie aziende, quanta energia pulita si immetterebbe nella rete? La risposta è semplice, molta. Ce lo insegna anche un illustre economista come Jeremy Rifkin. Se non lo conoscete, quipotete vedere chi è, nonchè vedere una sua intervista rilasciata a Striscia la notizia.
Dov'è l'inghippo?
L'inghippo è "nascosto" (notate le virgolette) nel fatto che poche centrali enormi e costosissime, sono più "controllabili" (sempre tra virgolette).
Ancora una volta, quindi, le economie di scala battono l'adattabilità umana. Noi agricoltori, purtroppo siamo abituati a questo. Produciamo, infatti, gli unici beni fondamentali per l'uomo che sono gli alimenti e veniamo trattati come l'ultima ruota del carro.
A questo punto, peró si pone una grande occasione. Molti cittadini possono unirsi agli agricoltori e diventare produttori di energia pulita, facendola crescere a ritmi elevati e dando segnali forti in primis, e contribuendo alla diminuzione progressiva dei costi e al perfezionamento delle tecnologie in seconda battuta.
Si formerebbe così un grande "massa critica" che aiuterebbe tutti. I cittadini, l'energia pulita e, cosa non secondaria, chi produce con fatica gli alimenti che gli stessi cittadini mangiano. Eh si, perchè se finalmente un'azienda agricola potesse contare su margini quantomeno dignitosi, potrebbe crescere e produrre alimenti di sempre maggior qualità.
Ricordatevi amici, che la qualità che vedete pubblicizzata negli spot dei supermercati, non la producono loro. Loro la comprano solo pagandola a prezzi da fame e ve la rivendono con un ben preciso margine.
Tutta l'Europa sta rivedendo la propria politica nucleare. Persino gli Stati Uniti lo stanno facendo. Ma allora, non sarebbe meglio seguire la stessa strada? Paradossalmente, se si dovessero spegnere tutte le centrali nucleari del mondo, il prezzo dell'energia elettrica si uniformerebbe per tutti. Per un po' di tempo verso l'alto sicuramente, ma poi verso il basso con l'impiego di nuove tecnologie per le rinnovabili e con l'impiego di persone prima addette al nucleare che troverebbero un impiego più salubre. Non ci sarebbero paesi dove l'energia costerebbe di meno e alte i dove costerebbe di più. I paesi con molto sole sfrutterebbero quello, quelli con meno sole, vale a dire quelli nordici, sfrutterebbero il vento di cui sono ricchi.
E le centrali a petrolio? Ma non è forse qualche anno che ci stanno dicendo che un giorno non lontano dovrà finire? Piano piano, verranno spente (la logica così dice) perchè senza carburante. Anche qui, con le rinnovabili che ormai avranno raggiunto standard elevatissimi, saremo sicuri che le persone non perderanno il lavoro. Acquisteranno salute. 



Il Parlamento Europeo approva la risoluzione sull'agricoltura UE e il commercio internazionale


Il Parlamento Europeo l'8 marzo ha approvato la risoluzione sull'agricoltura dell'Ue e il commercio internazionale, con la quale i deputati chiedono con forza alla Commissione di smettere di rilasciare concessioni per ottenere accesso ai mercati di paesi terzi a discapito del settore agricolo e sottolineano i rischi derivanti dai negoziati con il Mercosur e dall'accordo con il Marocco.
Come più volte detto, siamo in un momento di transizione epocale per quanto riguarda la Politica Agricola Comune, per cui è imperativo trovare coerenza tra questa e le varie politiche dei Paesi concorrenti in agricoltura di quelli Europei.
In particolare, è necessario tutelare gli interessi degli agricoltori europei che garantiscono il raggiungimento di molti beni pubblici quali, fra gli altri, la sicurezza e la qualità alimentare.
A tal proposito, nella risoluzione, vengono inserite norme che prevedono la garanzia della reciprocità per i produttori europei,  attraverso la richiesta di applicazione, per gli esportatori di carne in Europa, degli stessi vincoli vigenti per i produttori europei, al fine di garantire la sicurezza del consumatore e una giusta competizione commerciale.
Il Presidente della Commagri Paolo De Castro esprime la sua soddisfazione:
“Abbiamo chiesto e ottenuto dall'esecutivo - continua De Castro - di evitare di fare concessioni che potrebbero avere un impatto negativo sull'agricoltura dell'Unione in sede di negoziati commerciali extra-Ue”.
“Protezione degli interessi dei nostri agricoltori durante i negoziati internazionali, primo fra tutti quello con il Mercosur: è questo - ha detto De Castro - l'obiettivo che oggi abbiamo raggiunto in Aula dopo un lungo e complesso lavoro che ci ha visti impegnati negli ultimi mesi in Commissione Agricoltura. A tal riguardo, sono stati accolti tutti i 61 paragrafi della Relazione, compreso il numero 47 nel quale abbiamo chiesto alla Commissione di presentare una valutazione d'impatto prima della conclusione dei negoziati. Un documento importante per garantire un mercato più trasparente, orientato al concetto della cosiddetta reciprocità delle regole e che favorisca la prospettiva di una maggiore convergenza a livello internazionale degli standard applicati dall'Unione europea. Un tema sul quale abbiamo discusso più volte in Commissione sin dall'inizio della legislatura e che consideriamo fondamentale per evitare che gli sforzi europei in tema di benessere animale, qualità, ambiente vengano vanificati da un mercato incapace di riconoscere i valori sociali incorporati in un prodotto. Il risultato di oggi, ha concluso l'ex ministro, ci dà fiducia per completare il cammino necessario a ridurre gli impatti distorsivi derivanti dalla possibilità che player al di fuori del sistema di regole comunitario possano tradurre i minori vincoli cui sono sottoposti in maggiori vantaggi competitivi".
Fonte:  Paolo De Castro - Presidente Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo

sabato 5 marzo 2011

Lettera al Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani


Illustrissimo Signor Ministro,
mi chiamo Davide Stringa e sono un agricoltore di 38 anni di Pontecurone in Provincia di Alessandria. Come Lei ben saprà, l’agricoltura sta vivendo un periodo di crisi che si trascina ormai da ben più dei tre anni di congiuntura sfavorevole a livello mondiale: la nostra crisi dura da ben dodici anni. Nessuno ne ha mai parlato. I precedenti ministri delle Politiche Agricole non hanno mai tutelato il nostro comparto. Le DOP e le IGP, tanto care all’ex Ministro Zaia, è vero che sono un patrimoni dell’Italia, ma rappresentano ahimè solo una piccolissima percentuale del PIL agricolo.
Le grandi produzioni, che sono quelle che effettivamente costituiscono oltre il 90% dei redditi delle aziende agricole italiane, da anni vengono svendute in sede di Unione Europea. Vengono barattate e distrutte. Un caso per tutti è quello del comparto bieticolo-saccarifero che ha visto la chiusura di importanti zuccherifici italiani con l’erogazione di fondi alle industrie saccarifere per chiudere e qualche briciolina agli agricoltori che, non potendo più coltivare barbabietola da zucchero, hanno perso reddito. La barbabietola, infatti, era una delle pochissime colture redditizie. Oltre il danno, la beffa. L’Italia, produttrice di ottimo zucchero, deve ora importare zucchero di scarsissima qualità ed igiene da Paesi esteri, spesso del terzo mondo che non possono garantire tracciabilità e metodi di coltivazione salubri. Ora, la poca e superstite barbabietola da zucchero coltivata in Italia, viene pagata circa la metà di quello che valeva fino al momento della distruzione del comparto saccarifero.
Su questo tono potrei continuare citando decine di colture, prime fra tutte il pomodoro da industria.
E’ vero che si assiste ad un aumento dei prezzi di alcune colture, ad esempio il grano, però è opportuno precisare alcune cose fondamentali.
  1. Le quotazioni sui mercati non corrispondono ai reali prezzi di acquisto: il grano viene effettivamente acquistato a prezzi più bassi rispetto alle quotazioni sui mercati.
  2. Se anche venisse acquistato ai prezzi delle quotazioni, queste, in valore assoluto, sono pari alle quotazioni di VENTI anni fa. Le faccio un esempio: nel 1994, il prezzo del grano tenero passò da quello che era il prezzo standard di 30-35.000 Lire al quintale, a 50.000. Vale a dire da 15,50-18,00 Euro a 26. Facendo le dovute valutazioni dell'effetto dell'inflazione, il prezzo del 1994 passava da 26-30 Euro al quintale a 43. Oppure, ragionando al contrario, quello di oggi, vista la riduzione del potere d'acquisto della moneta unica, passerebbe dalle allora 18-21.000 Lire a 30.000 Lire.
  3. I costi dei mezzi di produzione sono, ovviamente, aumentati sull’onda delle bolle speculative sui prezzi delle commodities a livello mondiale.
  4. Ritornano i soliti “furbetti” a mettere in giro le voci che, a seguito degli aumenti dei prezzi delle materie prime, aumenteranno i prezzi al consumo di pane, pasta e altro. Lei lo sa quanto incide effettivamente il prezzo del grano sul prodotto da forno finito? Io mi vergogno a dirglielo e la invito a farselo dire da industriali alimentari onesti. Le dico solo che, se anche il prezzo del grano raddoppiasse, il prezzo del pane al dettaglio ne risentirebbe di pochissimi centesimi al chilo.
Oggi l’agricoltura ha una grande possibilità. Quello di diventare anche produttore di energia oltre che di alimenti. Il fotovoltaico, ad esempio, andando ad occupare una superficie minima di terreno di un’azienda media italiana, può produrre molta energia. Per un megawatt, oggi ci vogliono da 2,5 ai 3 ettari di aziende che, per estensione, possono permettersi un tale investimento. Tali aziende non hanno mai meno di 75-100 ettari.
Io stesso, tra le mille difficoltà della burocrazia italiana, sto faticosamente cercando di costruire un impianto fotovoltaico su terreno che potrebbe garantire un futuro alla mia azienda, martoriata come tutte, dalla crisi agricola.
Sto completando la documentazione da presentare alla Provincia di Alessandria (circa 5 mesi per poterla preparare, data la sua mole e complessità condita anche da ridondanza di documenti e relativi costi) e sto per consegnare alla banca, per il finanziamento, un business plan basato sulla tariffa di € 0,303 al kWh (tale è il contributo che il GSE mi erogherebbe allacciando l’impianto entro il 31 di agosto). Ho speso decine di migliaia di Euro in progetti e pratiche e non le dico il valore complessivo dell’investimento. Stavo finalmente per vedere la luce, come si dice, e lei cosa fa? All’improvviso cambia le carte in tavola.
Secondo il Suo decreto, da domani mattina (il 31 maggio per l’esattezza, data la complessità dei lavori da fare, non corrisponderebbe neanche a domani mattina, bensì ad oggi pomeriggio!) le tariffe caleranno.
E’ vero come dice Lei, Signor Ministro, che in questo modo vuole dare una spallata alla speculazione. Lodevole ed etico. Ma noi tutti che stiamo spendendo per investire basandoci su un conto Energia già deciso ci siamo trovati in braghe di tela. Chi ci ripaga degli sforzi e delle spese sostenute finora? Chi ci ripaga il mancato introito di vent’anni di Conto Energia che a questo punto ci verrà a mancare? E ci verrà a mancare non perché Lei, Signor Ministro, abolirà le tariffe (così ha detto), ma perché abbassandole, i nostri piani finanziari non staranno più in piedi e le banche non ci finanzieranno più. Allora perché, a seguito di tariffe di incentivo “politiche” più basse, per abbattere la speculazione non portare a prezzi “politici” imposti per Legge i moduli e le strutture? In questo modo, sicuramente, i nostri conti economici staranno ancora in piedi e le banche ci erogheranno i finanziamenti. Se etica è, deve esserlo a 360 gradi.
Inoltre aspettare fino ad aprile per sapere le nuove tariffe di lungo respiro (come le definisce Lei), che permettano di fare piani di investimento di tre anni in tre anni, invece che di tre mesi in tre mesi (e anche qui sono d’accordo con lei), è uno stillicidio. Come pensa che si possano realizzare impianti (che verranno per forza di cose bloccati per almeno due mesi a seguito di questa incertezza) prima della fine dell’estate? Per un impianto fotovoltaico, l’estate è vitale. L’estate è “quella cosa” che permette all’imprenditore che ha realizzato l’investimento fotovoltaico di portare a casa somme ingenti che, ahimè, l’inverno povero di Sole non permette.
Sono tantissime, come vede, le conseguenze negative che un Decreto che vuole riportare etica ad un settore fa ricadere su imprenditori che, come me, vogliono risollevare le sorti della propria azienda affossata già da anni da politiche folli, mediante un investimento etico come quello sul fotovoltaico.
E se di etica ancora si vuole parlare, non credo che tale sia la gogna burocratica a cui dobbiamo attenerci per realizzare un sano investimento sui nostri terreni. Le sembra etica l’ingerenza ormai totale dello Stato nelle opere sane che un agricoltore vuole realizzare a casa propria?
Lo Stato deve regolare, ma non può sempre e solo imporre difficoltà. Così non si va più avanti.
Cordiali saluti.
Davide Stringa