I Feed di "La mia agricoltura, l'agricoltura di tutti"

Translate La mia agricoltura

domenica 30 gennaio 2011

Medio oriente e cibo

Da un bell'articolo pubblicato su Agronotizie e da un documento contenente dichiarazioni di parlamentari europei si evince quanto l'agricoltura debba ritornare strategica. A seguito delle rivolte scoppiate nei Paesi nordafricani, cominciamo a capire come la difesa della nostra produzione agroalimentare debba essere una prerogativa. 
Questo lo dico, ovviamente, sempre nell'ottica di una equa distribuzione mondiale delle risorse alimentari, ma sempre ricordando che gli agricoltori italiani hanno come principale concorrente il prodotto che arriva da Paesi poveri e senza adeguati controlli di salubrità.
Un pericolo che coinvolge non solo gli agricoltori che devono affrontare una concorrenza "sleale" in termini di prezzi, ma tutta la popolazione che viene approvvigionata anche e spesso di alimenti provenienti da Paesi ad alto rischio socio-politico. 
Si parla ormai da anni del rischio che corre l'Italia dovendosi rifornire di energia in buona parte dall'estero. Mai nessuno ha parlato del rischio che si può correre andando ad approvvigionarsi di cibo in nazioni difficili.

Le agroenergie


Come ben potete sapere, ormai da qualche anno, le energie rinnovabili sono entrate a far parte del lessico quotidiano delle persone. 
Alcune di queste fonti di energia vedono le aziende agricole protagoniste. Oltre infatti a rappresentare un buon modo per diversificare la produzione delle aziende agricole e sganciarle dalla morsa delle sole produzioni alimentari che, oggi come oggi dato il calo quasi verticale dei prezzi negli ultimi anni (tranne una qualche parvenza di ripresa negli ultimi mesi), portano in campo (è proprio il caso di dirlo) una nuova forma di produzione diffusa dell'energia.
L'azienda agricola, infatti, può produrre energia elettrica in vari modi.
Uno di questi è la produzione di biogas, cioè gas prodotto sfruttando la fermentazione di prodotti agricoli e reflui zootecnici fluidi e solidi destinando allo scopo parte della sua produzione di alcune colture specifiche quali ad esempio il mais.

Digestore di un impianto di biogas

Un altro modo è quello di destinare una piccola, a volte piccolissima parte dei suoi terreni (le porzioni variano dall'1% al 3%) a seconda della sua superficie e a seconda di alcuni parametri dettati dall'Agenzia delle entrate con la sua circolare numero 32/E del 2009 all'installazione di pannelli fotovoltaici. 
Gli impianti fotovoltaici che si possono costruire in questo caso, sono di potenza massima di 1 MWp (un megawatt) e occuperebbero al massimo 2 ettari e mezzo di terreno. Dati i costi di tali impianti, in genere vengono realizzati da aziende agricole quantomeno medio-grandi, vale a dire con superfici di almeno 70-100 ettari e oltre. Dati poi i parametri della suddetta circolare dell'Agenzia delle Entrate, un'azienda di 70 ettari potrebbe realizzare al massimo un impianto di 900 kWp per conservare il reddito agrario su tale produzione, andando ad occupare meno di 2 ettari, cioè circa il 2,9%. Quasi sicuramente, però, ne realizzerà uno di potenza inferiore, magari solo di 3-400 kWp occupando solo 0,6-0,8 ettari, vale a dire meno dell'1% della sua superficie di coltivazione. 
Soprattutto nel caso degli impianti fotovoltaici quindi, si avrebbe una valida forma di diversificazione e di integrazione di reddito per le aziende agricole che non sottrarrebbe praticamente superficie ai terreni destinati alle produzioni alimentari umane e zootecniche.

Impianto fotovoltaico presso la Tenuta Salvadora realizzato da Solar Ventures
Ci sono anche altre tecnologie che permettono all'azienda agricola di produrre energia elettrica, quale ad esempio la pirolisi, ma che al momento non hanno ancora un elevato grado di messa a punto.
Per quanto riguarda i biocarburanti poi, ci sono colture ad hoc quali la colza che viene spremuta e trasformata prima in olio e poi in biodiesel. Il biodiesel, però, pur inquinando molto meno del diesel tradizionale, ha purtroppo ancora un costo di produzione elevato, almeno finchè non si troveranno colture adatte alle nostre latitudini con maggiori rese. 

La mia introduzione al blog


Cari amici,
credo che ogni tanto ripubblicherò il post d'esordio. In questo, infatti, spiego lo scopo del blog.
Non vogliatemene, ma ritengo sia necessario perchè anche i nuovi partecipanti al blog lo possano comprendere.
Grazie a tutti. 
Davide

Ecco il primo post.

La mia agricoltura, l'agricoltura di tutti.

Ciao a tutti, il mio nome é Davide Stringa e sono un imprenditore agricolo.
Quando mi capita di parlare con amici che non hanno a che fare con l'agricoltura o mi capita di incontrare nuove persone, giunti al momento di raccontarsi che cosa facciamo nella vita, alla mia risposta "faccio l'agricoltore", mi sento sempre ed immancabilmente rispondere: " ma dai? Che bello, che fortuna che hai, stai sempre a contatto con la natura. Anch'io vorrei fare l'agricoltore".
Subito mi pervade una sensazione di orgoglio. Penso quanto sia bello che la mia professione sia così considerata, ma poi, dopo aver scambiato quattro chiacchiere, mi accorgo sempre che questa considerazione della professione dell'agricoltore, la gente ce l'ha perché in fondo in fondo non la conosce affatto.
Ragioniamoci su. L'esodo di massa dalle campagne è avvenuto ormai da qualche decennio e da qualche decennio continua specialmente dalle aree più disagiate come quelle collinari o montagnose. Chi mi esprime questa considerazione é figlio, se non addirittura nipote di chi quelle campagne le ha lasciate per cercare la cosiddetta fortuna in cittá. Spesso per queste persone, ciò che mangia arriva direttamente dal supermercato. Le tappe che ha compiuto un pomodoro o una bistecca prima di arrivare nel piatto rimangono un mistero. Del resto non si può sempre pensare all'origine di ogni cosa che compriamo. Anche la nostra mente ha bisogno di saltare passaggi anche perché oggi come non mai è costretta ad un superlavoro vista la difficoltà della vita moderna. Però, chissà perché, mi sembra, vuoi perchè il pomodoro o la bistecca arrivano da un luogo ormai non legato alle vicende quotidiane della gente, vuoi perché la campagna è sempre più vista come luogo di riposo piuttosto che come luogo di produzione, vuoi perché è molto più facile accedere alla produzione di un prodotto meccanico o all'erogazione di un servizio finanziario o assicurativo od informatico dato che nascono in città, che questo pomodoro e questa bistecca assomiglino per molti sempre più ad un qualcosa che in automatico si materializzano nel luogo dove vengono acquistati.
Premesso tutto ciò, il mio forse presuntuoso intento è quello di avvicinare la gente all'agricoltura e quindi anche a ciò che mangia. Eh si, perché purtroppo, anche quello che normalmente viene trasmesso in tv o scritto (per la verità molto raramente) sui giornali, molto spesso non da un quadro obiettivo del mondo agricolo. Anche i giornalisti, del resto, nella maggior parte dei casi non hanno molti contatti con il mondo agricolo poiché vivono in città.
Il settore agricolo, che è un comparto economico come mille altri, è forse però il meno conosciuto. I suoi problemi sono dibattuti solo tra gli addetti ai lavori e non suscitano alcun interesse nell'opinione pubblica, venendo anche così messi molte volte in secondo o in terzo piano da chi opera in sede politica o nelle istituzioni pubbliche.
Nonostante questo, io credo che ci siano persone che nulla hanno a che fare con l'agricoltura, ma che pensano che, dato che è questa che produce il cibo (l'unico forse, tra i beni prodotti, che può essere considerato indispensabile insieme ad alcuni medicinali e ad alcuni indumenti), che l'agricoltura vada difesa non a scapito, si badi bene di altri comparti economici (tutti hanno la loro dignità), ma almeno alla pari.
Scrivo ciò perché (e qui sono sicuro che molti non lo sanno) l'agricoltura è ormai da undici o dodici anni che vive una grave crisi. Molto più grave di quella portata dalla congiuntura mondiale da un paio d'anni a questa parte a quasi tutti gli altri comparti dell'economia mondiale.
Mi piacerebbe essere un piccolo messaggero che di porta in porta, discretamente bussa chiedendo solo di essere ascoltato per qualche minuto su di un problema che, in fondo, coinvolge un po' tutti.
Tutti, infatti, mangiano.
Davide

venerdì 28 gennaio 2011

Imprese agricole innovative

Per la serie, le imprese agricole italiane hanno un grande know-how e non se ne rendono conto.
Provate a leggere questo articolo tratto da Agronotizie.

giovedì 27 gennaio 2011

Il pomodoro da industria. Una coltura storica destinata a passare alla storia?

Il comparto del pomodoro da industria sta vivendo una fase decisiva per la sua storia. 
A partire dalla campagna 2011, infatti, i produttori non beneficeranno più di parte dei contributi da parte dell'Unione Europea (non sto a tediarvi con la spiegazione della definizione di contributo accoppiato e disaccoppiato, che a voi "non addetti ai lavori" annoierebbe e basta) che fino ad ora (o meglio, fino a qualche anno fa) lo rendevano interessante sotto l'aspetto reddituale. 
Senza questo contributo, buona parte delle aziende agricole che coltivano pomodoro da trasformazione non avrà più interesse a produrre questa nobile bacca, così importante nella nostra caratteristica dieta mediterranea.
Macchina per la raccolta meccanica del pomodoro da industria

Le aziende non più interessate sono quelle che lo producono da pochi anni e non hanno quindi una quota storica di produzione, quelle che hanno sì una quota storica di produzione, ma lo producono da così tanti anni da avere i terreni "stanchi" e che quindi non possono garantire rese ottimali dal punto di vista economico, oppure aziende agricole non associate a consorzi di trasformazione come ad esempio il consorzio padano ortofrutticolo, meglio conosciuto come Co.pad.or. che, a fine trasformazione possono spesso garantire il pagamento di un prezzo un po' più alto rispetto alle altre industrie di trasformazione.

Caricamento su rimorchio del pomodoro da industria
La domanda che tutti gli addetti ai lavori (agricoli) si pongono è se l'industria di trasformazione sarà disposta a pagare questa differenza di prezzo che il mancato contributo ha lasciato o se invece, preferirà rivolgersi a fornitori stranieri, dove, dati i minori costi di produzione dovuti a minor costo del lavoro, mancanza di adeguati disciplinari di produzione o minori controlli sul prodotto, possono acquistare materia prima a prezzi più bassi.
Anche a noi piacerebbe poter dare all'industria il nostro prodotto agli stessi prezzi, ma non possiamo a causa della presenza di costi alti dati dal rispetto dei disciplinari di produzione (questo ci fa piacere, perchè possiamo così garantire un ottimo prodotto), ma soprattutto dal costo del lavoro e della burocrazia.
In entrambi i casi, se la nuova legge sull'etichettatura dei prodotti alimentari che obbliga ad indicare la provenienza della materia prima funzionerà, lo sapremo semplicemente leggendo l'etichetta stessa. 
Insomma nel giro di un anno sapremo se una coltura storica rimarrà coltura o passerà alla storia.
Certo è, che se così dovesse essere, sarebbe l'ennesimo schiaffo morale, ma soprattutto economico all'agricoltura italiana.

sabato 22 gennaio 2011

Se ti fa piacere puoi vedere chi sono cliccando su questo pulsante View Davide Stringa's profile on LinkedIn

Chi conosce i veri prezzi delle materie prime di cui ci nutriamo?

Siamo in uno strano momento. I prezzi dei cereali crescono (a volte con titoloni sui giornali), ma rimangono pur sempre inferiori di oltre il 20% rispetto alla bolla speculativa del 2008. I grani teneri si aggirano attorno ai 29-30 Euro al quintale dai 13-14 che costavano sino a qualche mese fa.
Molti diranno che costano cari. Vi faccio un esempio: Nel 1994, il prezzo del grano tenero, passò da quello che era il prezzo standard di 30-35.000 Lire al quintale, a 50.000. Vale a dire da 15,50-18,00 Euro a 26.
Facendo le dovute valutazioni dell'effetto dell'inflazione, il prezzo del 1994 passava da 26-30 Euro al quintale a 43. Oppure, ragionando al contrario, quello di oggi, vista la riduzione del potere d'acquisto della moneta unica passerebbe dalle allora 18-21.000 lire a 30.000 lire.
Girala come vuoi, i prezzi rimangono comunque bassi.
Il rovescio della medaglia è invece per gli allevatori. Il prezzo della carne non ripaga l'aumento del prezzo dei prodotti per l'alimentazione zootecnica.
Come diranno in molti "questi agricoltori non sono mai contenti".
E provaci tu ad essere contento con margini medi sulla produzione che si aggirano attorno al 2%.